Iniziata la peregrinatio della statua del Patrono nella chiesa
di Santa Maria ad Martyres dal 3 al 5 settembre 2018

Qui il filmato di Telecolore


 

Come già accade da qualche anno, dal 3 settembre è iniziata la peregrinatio della Statua di San Matteo in alcune parrocchie della nostra città. Quest’iniziativa si propone di far sentire la vicinanza del santo patrono anche ai quartieri più lontani dalla Cattedrale, ed accrescere la consapevolezza che tutti sono parte di un’unica grande famiglia.
Quest’anno fra le parrocchie che ospiteranno la statua del Patrono di Salerno per pregarlo e conoscerne sempre più profondamente il messaggio che ha lasciato con il suo Vangelo, è stata designata la chiesa di S. Maria ad Martyres a Torrione, sul Lungomare Tafuri, anche in ricordo dei SS. Martiri salernitani, fratelli nella fede dell’Evangelista. Saranno tre giorni di preghiera e meditazione con i diversi appuntamenti in programma.
La statua di San Matteo ha varcato la soglia della chiesa Santa Maria ad Martyres poco prima del tramonto. I portatori dell’omonima paranza, vestiti di bianco, l’hanno portata in processione dai giardini del Forte la Carnale fino alla chiesa, dove, poi, hanno avuto inizio le funzioni religiose presiedute dal parroco del Duomo don Michele Pecoraro.
La Chiesa, è rimasta aperta fino a tarda sera e  cosi è stato anche nei due fioni successivi per dare la possibilità a tutti di poter venerare il Santo.
All'indomani, Santa Messa alle 9.30 e a seguire momenti di preghiera e condivisione meditando sul vangelo di Matteo, l’evangelista che lasciò tutto per seguire Gesù. Nel pomeriggio, spazio alla catechesi dedicata al patrono e tenuta da don Michele Pecoraro.
A seguire le celebrazioni eucaristiche della sera presiedute dal parroco padre Francesco Carmelita hanno chiuso il programma religioso.
Torrione ha salutato il Santo patrono alle 18:00 del 5 settembre, quando il furgone che trasportava la statua è partito per il Quartiere Europa, dove sarà accolto dalla comunità di Gesù Redentore guidata da don Ciro Torre
Il 7 settembre, poi, altro trasferimento a Brignano dove si chiuderà la peregrinatio della statua dopo due giorni, il 9 settembre quando ci sarà il rientro in Cattedrale.

(Fonte: lacittadisalerno.it,  4 settembre 2018)

 

Il CAMMINO DI SAN MATTEO

Giudeo di nascita, figlio di Alfeo, nacque nell'anno 4/2 a.C. a Cafarnao, dove secondo S. Marco egli esercitava il mestiere di gabelliere. Quando il Maestro Divino gli disse di seguirlo, stava appunto seduto al banco delle gabelle sulle rive del lago.
Caravaggio (1571-1610)
Vocazione di San Matteo
Ecco il tratto evangelico: «E Gesù tornò verso il mare; e tutto il popolo andava a lui e li ammaestrava. E nel passare vide Levi d'a gabella, e gli disse : Seguimi. Ed egli, alzatosi, lo seguì». Il nome Matteo significa Dono di Dio; secondo alcuni, Levi avrebbe cambiato nome solo dopo aver cambiato vita. Matteo aveva un ufficio che gli assicurava una certa agiatezza.
Ma questa pronta rinuncia ai beni per seguire Gesù gli meritò una tale abbondanza di grazia da raggiungere le più alte cime della perfezione cristiana. S. Matteo ebbe in seguito la fortuna di ospitare in casa sua il Salvatore, onde i Farisei si scandalizzarono moltissimo, perché Gesù mangiava coi pubblicani e coi peccatori. Ma conosciamo la solenne risposta di Gesù: « Non son venuto per i sani, ma per i malati ».
Ricevuto lo Spirito Santo nella Pentecóste, Matteo predicò il Vangelo nella Giudea e nelle contrade vicine e, poco dopo la dispersione degli Apostoli per il 'mondo, scrisse il Vangelo destinato ai Giudei. S. Matteo, siccome scriveva per i suoi connazionali, volle dimostrare che Gesù Crocifisso era il Messia aspettato, il Redentore d'Israele profetato dalle Scritture.
Ad ogni passo infatti si trova l'espressione: «Come è stato scritto da Isaia profeta, dai profeti», ecc.; e minuziosamente prova come le profezie e le promesse dell'Antico Testamento si siano compiute in Gesù Cristo.

Caravaggio (1571-1610)
Martirio di San Matteo
Matteo, dopo aver predicato il Vangelo in vari luoghi, sollecitato da una rivelazione divina, si recò in Etiopia. Qui convertì alla nuova religione non solo la popolazione, ma lo stesso re Eglippo e la consorte, dopo che ebbe operato la miracolosa risurrezione del loro figlio Eufrano. Provvide inoltre a far costruire una splendida basilica, che amministrò per ventitré anni.

Morto però il re Eglippo, salì al trono lo scelleratissimo Irtaco, il quale, deciso a sposare Effigenia figlia del suo predecessore, la quale si era consacrata al Signore, pretendeva che S. Matteo si adoperasse a disporre l’animo della principessa al matrimonio. Naturalmente l’Apostolo si oppose ed Irtaco irritato lo fece uccidere da un sicario, mentre sull’altare celebrava il santo sacrificio; si era intorno all'anno 69 d.C., il Martirologio Romano pone la sua morte al 21 settembre.

Guido Reni (1575-1642)
San Matteo e l'Angelo
Secondo la tradizione della Chiesa, S. Matteo viene raffigurato insieme ad un uomo alato che lo ispira e gli guida la mano mentre scrive il Vangelo; l'uomo alato è uno dei quattro esseri viventi presenti nel libro di Ezechiele e nel libro dell'Apocalisse e ciò perché il Vangelo di Matteo esordisce con la genealogia terrena e l'infanzia di Gesù Figlio dell'uomo, sottolineandone quindi la sua umanità. 
E' ignota l’occasione in cui il corpo di Matteo venne traslato in Occidente: una tradizione leggendaria pone questo avvenimento verso il 370 d.C. ad opera di alcuni navigatori bretoni, che erano approdati in Etiopia per motivi di commercio. Le reliquie del Santo furono tolte dal sepolcro, trasferite a bordo di una nave e trasportate a Legio (poi St. Pol-de-Léon) sita nella parte più occidentale della Bretagna. In quel luogo il corpo dell’Apostolo restò sepolto per quarant’anni.
A metà del quinto secolo, nel corso della campagna militare promossa in Francia dall’imperatore romano d’occidente Valentiniano III per contrastare l’avanzata degli Unni, il prefetto militare Gavino, cavaliere lucano, esuma le reliquie di San Matteo in Bretagna e le porta nella sua città natale, la decaduta Velia, con l’idea di risollevarne le sorti. In realtà di quelle reliquie si perderà la memoria e perfino del sito dell’antica città che le aveva accolte e che era stata sede di diocesi, complici anche le alluvioni e i terremoti che sotterreranno le rovine di Velia. Qui vi rimasero sepolte per circa quattro secoli.
Nella Translatio sancti Matthei apostoli et evangeliste, opera di un ignoto monaco del monastero di S. Benedetto di Salerno vissuto nella seconda metà del X secolo, si racconta che nel 954  San Matteo apparve in sogno a una pia donna di nome Pelagia, madre del monaco Atanasio, e le rivelò in sogno il luogo del suo sepolcro, nei pressi dell’antica Velia, tra i fiumi Fiumariello e Alento. Pelagia chiese al figlio di farne accurata ricerca. Questi andò e, come nel sogno, nei pressi di una terme riconobbe l’oratorio in rovina e, nascosto da un roveto, ritrovò l’altare. Estirpati spini e pruni e rimosso il marmo che copriva l’altare, apparve il vano ricoperto di mattonelle quadrate e, nel vano, il corpo dell’Apostolo.  Atanasio tentò di portare le reliquie a Costantinopoli, ma il suo proposito venne vanificato per ben due volte da violente tempeste marine. Pertanto, constatata l’avversità divina, il monaco nascose le reliquie in una chiesa non molto distante dalla sua cella, nella località “ad duo flumina” nell’attuale Casal Velino Marina.Avuta notizia del miracoloso ritrovamento, Giovanni il vescovo di Paestum si fece consegnare le reliquie e le trasportò nella sua cattedrale, la chiesa della Madonna del «Granato».
La notizia del ritrovamento intanto era giunta anche a Salerno. Il principe longobardo Gisulfo I, inviò a Capaccio un’autorevole delegazione di dignitari che si fece consegnare le reliquie dal vescovo locale.
Il 6 maggio 954 il corpo di San Matteo entrò trionfalmente a Salerno ove le reliquie furono ben custodite, quale inestimabile tesoro nella cattedrale di S. Maria degli Angeli.

A Salerno le reliquie, di cui si era persa notizia per più di un secolo, furono nuovamente ritrovate nel 1080 e nel 1084, infine, trovarono più decorosa sistemazione nello splendido Duomo normanno, che fu detto appunto di S. Matteo, costruito per volontà di Roberto il Guiscardo, pare su progetto di Alfano I arcivescovo di Salerno, e consacrato da papa Gregorio VII, profugo da Roma. La lettera che questo Pontefice il 18 settembre 1080 scrisse ad Alfano I  per felicitarsi con lui per il ritrovamento del corpo di San Matteo, è un documento storico ineccepibile.
S. Matteo riposa nell’affrescata cripta dell’artistica Cattedrale a lui dedicata, egli è stato sempre ed è tuttora oggetto di viva venerazione. Ogni anno nella città  viene festeggiato come patrono con una solenne processione che attraversa il centro storico. Accanto a lui sfilano  i martiri salernitani Caio (Gaio), Antes (Ante) e Fortunato, S. Gregorio VII e S. Giuseppe

L'ingresso trionfale a Salerno delle reliquie di San Matteo il 6 maggio dell’anno 954 è stato un momento centrale per la storia religiosa e civile della nostra città, perché da allora San Matteo è diventato il fondamento di un tipo di civiltà, di cultura, di attenzione, di fede, di entusiasmo. Nell’occasione le parrocchie della città preparano, come da tradizione ormai secolare, delle composizioni floreali, cosiddetti “colubri”, da portare fino al Duomo per offrirle al Santo.
Ogni anno il 6 maggio solenne pontificale presieduto dall’Arcivescovo e concelebrato dai sacerdoti della città. Dopo la celebrazione, processione in Cripta, dove le delegazioni dei cinque sindaci dei comuni più rappresentativi della traslazione di San Matteo, Velia (Ascea), Casalvelino, Rutino, Capaccio e Salerno, offriranno, ognuno per un anno intero, l’olio per l’alimentazione continua della lampada sulla tomba del Santo.

21 AGOSTO - L'ALZATA DEL PANNO

Il 21 agosto, con “l’alzata del panno”, un quadro su tela raffigurante S. Matteo sullo sfondo del porto con sotto la scritta: “Salerno è mia : io la difendo”, si dà inizio ai festeggiamenti religiosi, che si svolgono nella cattedrale, in onore del Santo Patrono.
San Matteo non pronunciò mai questa frase, ma per quanto si sa dalle fonti e dalle cronache dei secoli , dimostrò con i fatti di amare sempre la città che lo venera e più volte è venuto in suo soccorso.

Il "panno" ricorda come,nel 1544, il Santo Patrono salvò Salerno dalla distruzione costringendo alla fuga i Saraceni capeggiati da Ariadeno Barbarossa.
Le navi turche si disposero innanzi a Salerno e Amalfi, per metterle a ferro e fuoco, spogliarle dei loro tesori e trarne il maggior numero di prigionieri. Quel giorno il cielo era sereno, il mare calmo, non un alito di vento disturbava la quiete, ma il pericolo che incombeva sulla città all’avvicinarsi alla riva delle scialuppe cariche di turchi era minaccioso.
Molti Salernitani corsero alle armi nella speranza di opporre resistenza agli invasori, altri conoscendo la fama della crudeltà di Ariadeno fuggirono disperdendosi nelle campagne vicine, altri ancora si riversarono nella Cattedrale per supplicare l’intervento di San Matteo.
I feroci turchi erano quasi sbarcati, quando improvvisamente una tempesta di vento e acqua si abbatté sul Golfo. Le navi non ressero più all’àncora, quindi molte di esse scontrandosi affondarono, altre furono sbattute sulla riva, altre si dispersero nel Tirreno. 
Per i Salernitani fu un Miracolo del proprio patrono, l'Apostolo ed Evangelista San Matteo, per gli Amalfitani del proprio patrono, l'Apostolo Sant'Andrea. Secondo il mito, i due Santi apparvero nel cielo del Golfo di Salerno suscitando la tempesta che pose fine all'Assedio turco.
I vecchi salernitani raccontano ancora oggi che, sempre in quella occasione, un gruppo di saraceni tentò di entrare nel Duomo per distruggere, rubare e dissacrare le sacre preziosità, ma si ritrovarono spiazzati da qualcosa di sovrannaturale.
A impedire loro l’ingresso furono i due Leoni di pietra ai lati del Portale d'ingresso all'Atrio della Cattedrale di S.Matteo. La leggenda vuole che questi presero miracolosamente vita e corsero in aiuto dei difensori del Duomo. La potenza dei Leoni, al servizio del Santo, aiutò i salernitani a scacciare gli invasori.
Lo stemma di Salerno, da allora, mostra l’effigie del santo che, con la mano destra, benedice la sua città.

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